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Smart working e telelavoro: come sta andando? I primi risultati della survey Fòrema

Il passaggio forzato a forme di lavoro da remoto ci sta insegnando molto su come funzionano le nostre aziende e i gruppi di lavoro, aprendo nuove prospettive sui modelli organizzativi che le aziende possono adottare e le sfide che pongono. I temi dello smart working e del telelavoro sono già molto indagati in letteratura, ma abbiamo voluto capire come i macrotrend citati dalle fonti ufficiali trovino una declinazione nella nostra Regione, attraverso un breve sondaggio realizzato ad aprile, a ridosso della fase 2.

Le imprese coinvolte sono in larga parte aziende manifatturiere (85%, di cui la metà metalmeccaniche) e rappresentative di diverse classi dimensionali (la metà piccole imprese, il 21% grandi imprese, 29% le medie), tutte toccate da processi di riorganizzazione del lavoro da remoto.Tuttavia, il fenomeno non ha riguardato ovviamente in maniera omogenea l’intera popolazione aziendale: se tutto il personale degli uffici ha affrontato la sfida di lavorare da casa, circa il 57% del management si è allineato alla tendenza e solo l’11% del personale operativo ha potuto continuare a svolgere le proprie mansioni lontano dalla sede aziendale. Questo dato strutturale è evidente anche nella quantificazione del lavoro a distanza: solo il 21% delle aziende ha potuto attuare smart working per più della metà del personale, mentre per la grande maggioranza è stato un fenomeno per pochi (il 29% per meno di un decimo degli addetti) o una parte dell’azienda (rispettivamente, il 32% per meno di un terzo e il 18% da un terzo a metà dei dipendenti).

Come era lecito attendersi, il 18% aveva già in pista soluzioni di smart working prima del lock down di febbraio (per l’86% riguardava comunque meno del 10% degli addetti), il 29% stava valutando come implementarlo, mentre per la maggior parte delle aziende intervistate si è trattato di una novità (o un’emergenza). Per quanto riguarda gli strumenti messi a disposizione per continuare a lavorare a distanza, l’accesso diretto ai dati conservati nella rete aziendale ha un ruolo di primo piano (96% dei casi), seguito dalla posta elettronica aziendale (89%) e dall’utilizzo delle piattaforme per videochiamate e riunioni virtuali (79%); decisamente meno diffusi invece i software per la gestione di informazioni complesse e gruppi di lavoro o la condivisione di processi a distanza (solo il 32% dei casi).

Venendo alle leve che hanno permesso di affrontare positivamente l’emergenza e gestire l’impatto del lavoro a distanza sulle attività quotidiane, i fattori che hanno pesato positivamente nascono dal connubio tra tecnologie hard (la dotazione di strumenti informatici affidata ai collaboratori) e fattore umano (in particolare l’engagement del personale, la condivisione delle soluzioni con il management e la comunicazione interna): per gli intervistati questi due elementi si sono dimostrati prioritari o decisivi nel 69% dei casi, mentre gli aspetti più manageriali (revisione dei processi lavorativi, definizione di KPI, analisi dei carichi di lavoro, definizione nuovi task) per il momento hanno rappresentato più una sfida da affrontare nel nuovo contesto lavorativo che un elemento capace di facilitare il lavoro a distanza.

La survey ha permesso di raccogliere le prime valutazioni d’impatto del lavoro a distanza sulle persone e le organizzazioni. Per quanto riguarda i benefici più immediatamente percepiti dai collaboratori, si segnalano la riduzione di tempi e costi connessi alla mobilità verso il luogo di lavoro, una gestione del tempo migliorata e la percezione di una maggiore produttività ed efficacia del tempo professionale; meno prioritari invece la motivazione al lavoro, il senso di appartenenza all’organizzazione, la fiducia nei colleghi e l’affidamento ai gruppi di lavoro di appartenenza. I minus rilevati sono dovuti ad una crescente sovrapposizione tra il tempo privato e quello del lavoro, alla difficoltà di gestire in maniera efficace la comunicazione tra i colleghi, ad un’attenuazione della propria identità professionale. L’impatto sulle organizzazioni aziendali viene valutato in termini di rilevanza dei benefici e delle criticità riscontrate.

Gli intervistati sono piuttosto concordi quando vedono nel lavoro da remoto un’occasione per rivedere e ottimizzare i processi aziendali (per il 29% è un aspetto prioritario); un medesimo livello di priorità (20%) viene assegnato alla capacità di attrarre nuovi collaboratori, di creare nuovi basi per l’engagement rispetto alle attività e di generare significative economie grazie alla riduzione dei costi operativi dovuti alla presenza fisica presso la sede aziendale.

Le difficoltà che le imprese incontrano con maggior frequenza sono quasi tutte riconducibili a temi manageriali e di capacità di gestione dei gruppi di lavoro: la riorganizzazione dei processi, la definizione di KPI, competenze di management evolute pesano in maniera analoga (attorno al 20%) nella lista dei fattori critici, con picchi legati alla preparazione (culturale, strumentale, relazionale) dei dirigenti e dei quadri chiamati di punto in bianco ad agire il proprio ruolo in un contesto nuovo.

Per finire abbiamo chiesto in sintesi se il lavoro da remoto ha già prodotto degli effetti significativi sui risultati del lavoro, sul business. Si conferma la resilienza delle aziende venete e la capacità di adattamento del sistema produttivo: a parte i fattori esogeni, il 57% degli intervistati non ha notato cambiamenti significativi nella performance aziendale e il 21% ritiene addirittura migliorate le attività su cui ha presidio diretto.Ora entriamo in una nuova fase e niente sarà come prima: la Regione Veneto e il Fondo Sociale Europeo finanziano lo sviluppo di modelli aziendali e customizzati per lo smart working.
 

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